Solo un grande sasso, AKA come affrontare il lunedì con i Verdena

DISCLAIMER: questa è una di quelle volte in cui vi parlo di musica, ma lo faccio parlando un po’ di me. Non aspettatevi cose troppo tecniche e, allo stesso tempo, preparatevi a pipponi non richiesti. Sono @protofra , per chi non lo sapesse.

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Oggi è lunedì. Un lunedì grigio e un po’ particolare per quel che mi riguarda; uno di quei giorni in cui hai bisogno di certezze. Per questo motivo, dopo aver finito di far finta di lavorare , ho capito che c’era bisogno di musica. E che c’era bisogno di Verdena.

Ho parlato spesso di quanto sia legato ai Verdena, ma non avevo ancora parlato di quanto posso essere ripetitivo; ora lo sapete.

Il fatto è che i Verdena sono uno di quelli che chiamo artisti rifugio: un porto sicuro, insomma. Quindi, sovente mi ritrovo a piazzarli su Spotify o sul piatto.

Nell’ultimo periodo ho ascoltato molto Endkadenz e Verdena. Oggi, però, avevo bisogno di altro. Che poi, in realtà, è quello con cui ho scoperto i Verdena: l’avevo un po’ snobbato ultimamente e mi sentivo in colpa. O forse non era capitata l’occasione giusta.

Questo altro prende il nome di Solo un grande sasso.

Quindi, già che sono qui ad ascoltarlo, ve ne parlo un po’. Magari può aiutare anche voi nell’affrontare questo lunedì. O il prossimo, visto che siamo quasi a fine, per fortuna. Ndr: non è più lunedì ma vale per qualsiasi giorno un po’ così.

Solo un grande sasso è il secondo album dei Verdena e segue l’omonimo album di esordio uscito nel 1999. Il primo disco era stato prodotto dal buon Giorgione Canali ed è un lavoro clamoroso, niente da dire. Tuttavia, per certi versi, è un po’ semplice. Anzi, la dico meglio: è immediato, sotto vari punti di vista.
Ci sono ritmi forsennati figli del grunge e testi che prendono la testa di un ventenne e la ribaltano. Quelle robe che le ascolti e dici: “cazzo, potrei averlo scritto io”; prima di riprendere ad urlare seguendo Alberto. Tutto molto bello, davvero, però poco audace.

Con Solo un grande sasso, invece, il discorso cambia sia dal punto di vista sonoro che concettuale. I brani sono molto più lunghi e complessi e hanno molte parti strumentali che per una band al secondo album sono, sì, audaci.
È un disco psichedelico, ma con i chitarroni. Quelli proprio grossi. Una roba à la Motorpsycho, per intenderci.

È un album, insomma, che non ha niente di commerciale, se non Spaceman. È un album che ti prende e ti trasporta in un’altra dimensione. Un album, tra l’altro, che ha un impatto sonoro ed emotivo fortissimo.

Non solo questo, però, perché Solo un grande sasso segna un punto di svolta per i Verdena. Qualche giorno fa vi parlavo di Kid A e Amnesiac dei Radiohead, il post è su Instagram . Ecco, qui siamo su un livello simile, perché arrivati in studio i Verdena decidono di sbattersene il cazzo e fare come vogliono: e pensate quanto sarebbe stato facile per loro continuare sulla falsa riga di Verdena. Eppure no, col cazzo, immagino abbia detto Alberto.

Da Solo un grande sasso, insomma, nascono i Verdena come li conosciamo oggi: una band che si pone proprio da un’altra parte rispetto al paradigma musicale, una band che non ha paura di cambiare e sperimentare. Una band coi controcazzi. Diciamo le cose come stanno.

Per quanto mi riguarda personalmente, e qui entriamo nelle opinioni non richieste, questo è il disco con cui ho conosciuto i Verdena; anzi con cui mi sono innamorato dei Verdena.
In particolare, la prima canzone è stata Starless. Un brano potente e incazzatoma che riesce comunque a trasportarti, quasi cullandoti, verso altri lidi: una roba incredibile per un 15enne, ma che funziona anche a 27 anni, ve lo assicuro.

Per questo motivo vi consiglio di ascoltare proprio Starless. È tutto molto autarchico, me ne rendo conto, ma Spinnit funziona così, lo sapete.

Se poi siete proprio in vena, ascoltatevi Onan e Starless una dietro l’altra. Vi sentirete fluttuare in uno spazio non definito, insieme a meduse e tappeti, promesso.

Non è più impossibile, sembri impenetrabile, ora chiedimi perché non è più così semplice dover sopravvivere.

© Francesco Proto2022